Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di mangiare. Ci nutriamo ogni giorno, eppure il nostro rapporto con il cibo è complicato. Il nostro apparato digerente, le nostre emozioni e i nostri stati d’animo si basano su un equilibrio talmente delicato che il cibo rappresenta molto più di una semplice fonte di energia o di sostentamento. Le emozioni e i pensieri esercitano un influsso enorme sulle nostre abitudini alimentari, ma cosa si cela dietro a questa dinamica complessa e come può cambiare il nostro rapporto con il cibo quando cerchiamo di mangiare in modo consapevole?
Proviamo innanzitutto a capire qual è la relazione tra gli esseri umani e il cibo. Di primo acchito, mangiare sembrerebbe un’azione piuttosto semplice: il nostro organismo ha bisogno di ingerire ogni giorno un determinato quantitativo di energia, sostanze nutritive essenziali, vitamine e minerali, che varia a seconda della corporatura, dell’età e del sesso. Osservando gli altri animali, notiamo che questi si cibano solo quando hanno fame, concentrandosi esclusivamente su quell’attività fino a riempirsi lo stomaco. Per lo stesso principio, i bambini piccoli si approcciano al cibo in modo molto più istintivo rispetto agli adulti. Il cervello umano è complesso e ci sono molti fattori in grado di destabilizzare le nostre tendenze naturali. Oggigiorno, purtroppo, i disturbi alimentari sono in aumento: c’è chi perde completamente l’appetito o chi continua a mangiare senza essere mai sazio. Capire quanto e cosa mangiare può essere difficile.
Le ragioni che ci portano ad abbuffarci o a mangiare troppo poco sono numerose. Molti animali perdono l’appetito in risposta a un pericolo o a una difficoltà, perché la digestione richiede molta energia. In situazioni di stress, invece di “sprecare” risorse preziose nella digestione, il nostro corpo le utilizza per risolvere il problema. D’altro canto, anche la “fame emotiva” rappresenta una reazione comune allo stress. Ma cos’è esattamente la fame emotiva? Consumare determinati alimenti ci dà un senso immediato di gratificazione o felicità, proprio perché le sostanze contenute in quei cibi soddisfano il “sistema di ricompensa” del nostro cervello. I principali responsabili sono gli alimenti particolarmente dolci, poiché lo zucchero viene assorbito rapidamente e regala una scarica di energia istantanea.
Oggi le nostre vite sono talmente frenetiche che non abbiamo nemmeno il tempo di accorgerci della maggior parte delle nostre emozioni. Non solo non ci prendiamo il tempo necessario per godere appieno delle sensazioni positive ed esprimere gratiduine, ma sviluppiamo addirittura delle strategie per evitare le emozioni negative, invece di permettere a noi stessi di sperimentarle. Uno dei metodi più efficaci per sfuggire alle emozioni è rifugiarsi nel cibo. Altri stratagemmi poco salutari includono il fumo o il consumo di alcolici o sostanze pericolose. Mangiare rappresenta probabilmente l’opzione più semplice, rapida e accessibile. Inoltre, il cibo appaga i sensi e ci dona grande piacere. Quando non riusciamo ad affrontare le emozioni complicate, cerchiamo una via di fuga che ci regali un sollievo immediato invece di permettere a noi stessi di provare queste sensazioni e analizzare ciò che accade dentro di noi in quel momento. Se il nostro cervello si abitua a questo ciclo, attiverà gli stessi percorsi neurali ogni volta che ci troveremo in una situazione simile: il nostro corpo cercherà automaticamente del cibo. Questo schema comportamentale ha origini sia emotive sia intellettive, può trasformarsi in una dipendenza fisica e incidere ripetutamente su sangue e ormoni. Ecco perché, se le nostre abitudini alimentari si radicano profondamente nel cervello, ci ritroviamo a mangiare di continuo anche quando non siamo di fronte a situazioni o emozioni difficili.
Un altro motivo che ci spinge a mangiare troppo è da ricercarsi nell’evoluzione stessa della specie. Oggi è molto facile produrre zuccheri, che consumiamo in quantità di gran lunga maggiori rispetto ai nostri antenati, vissuti centinaia o migliaia di anni fa. Sfortunatamente, lo zucchero e i suoi derivati sono presenti in quasi tutti gli alimenti confezionati e i cibi pronti, che per altro sono facilmente accessibili. Per gli uomini primitivi, invece, lo zucchero era una rarità: l’unica vera fonte di zuccheri per le popolazioni di cacciatori-raccoglitori era la frutta. L’assenza di una produzione alimentare di massa rendeva semplicemente impossibile andare al supermercato e riempire il carrello. Quando i nostri antenati trovavano un albero carico di frutta, l’istinto gli suggeriva di abbuffarsi il più possibile per ottenere una scarica istantanea di energia. È proprio da loro che abbiamo ereditato la tendenza a rimpinzarci di dolci: si tratta di un comportamento intrinseco al nostro DNA. La golosità quindi non è affatto una colpa: è del tutto naturale.
Un’altra ripercussione negativa della frenesia quotidiana è l’indebolimento del legame fra mente e corpo. Il ritmo della vita in città e il peso che ci portiamo addosso creano tensione nel corpo e nel sistema nervoso. Quando ci sentiamo sotto pressione, tendiamo a dissociarci dal corpo come risposta psicologica. In condizioni di stress, i segnali che trasmettono le sensazioni dall’organismo al cervello si fanno più deboli. Inoltre, quando i pensieri si intensificano e affollano la mente, diventa più difficile prestare attenzione ai già flebili segnali del corpo.
Proprio come alcune bilance diventano meno precise nel tempo, anche la nostra capacità di percepire le esigenze dell’organismo, compresa la sensazione di fame o sazietà, si riduce. Inoltre, i nostri bisogni e ciò che ci fa stare bene cambiano costantemente, da un giorno all’altro. Quando diventiamo insensibili ai segnali che il corpo ci invia, cominciamo a ripetere le azioni che ci hanno soddisfatto fino a quel momento.
Anche la pressione sociale può esercitare un impatto negativo sul rapporto corpo-mente. Il maggiore colpevole in assoluto è l’idea del “corpo perfetto”. Secondo la cultura di massa, soltanto alcune corporature e determinate taglie sono considerate desiderabili. Di conseguenza, finiamo per imporre a noi stessi questi ideali, senza chiederci se sono effettivamente sani o adatti a noi. Queste immagini stereotipate cambiano nel tempo, di pari passo con la cultura popolare. In alcune epoche della storia, essere sovrappeso era sinonimo di bellezza, mentre in altri periodi il concetto di “bello” andava necessariamente di pari passo con quello di “estremamente magro”. Sul piano storico, queste tendenze hanno ragioni economiche. Nei periodi di carestia, ad esempio, essere sovrappeso significava essere ricchi e potersi quindi permettere il cibo. Questi trend, tuttavia, non sono altro che fasi passeggere e non dovrebbero influenzare la considerazione del proprio aspetto fisico.
Oggi siamo letteralmente bombardati da consigli sulla nutrizione, sullo sport e sull’alimentazione. Tutti hanno qualcosa da dire: dagli amici ai medici in TV, dai libri sulle diete ai social media. Gli esperti in medicina sono senza dubbio la fonte più attendibile per comprendere meglio il nostro corpo, ma a volte è difficile fare una cernita fra le notizie effettivamente divulgate dagli esperti e le opinioni della gente comune, o addirittura le “fake news”. Questa valanga di informazioni è troppo generica e non tiene conto della struttura corporea e della personalità di ciascuno di noi. Se, ad esempio, mangiare spesso delle piccole porzioni di cibo può essere la soluzione adatta per qualcuno, altri potrebbero ottenere maggiori vantaggi da pasti più abbondanti ma meno frequenti. Alcune persone traggono beneficio nel consumare gli stessi alimenti e le stesse bevande tutto l’anno. A volte siamo psicologicamente più attivi e abbiamo bisogno di più calorie, altre invece siamo tesi o arrabbiati e cerchiamo consolazione nel cibo. Provare a seguire delle regole generiche invece di ascoltare i bisogni effettivi del nostro corpo può rivelarsi una fonte di stress. La società ci invita a ignorare le esigenze del nostro organismo, mentre in realtà dovremmo costruire una relazione più solida con il nostro corpo. Ma come?
Per esperienza, il primo consiglio che mi sento di dare è questo: provare a conoscere meglio il proprio corpo. Sin dall’adolescenza ho avuto problemi con il mio aspetto fisico e le mie abitudini alimentari. Sono riuscita a superare questo blocco un passo alla volta, quando ho imparato a staccare la spina e ad ascoltare il mio corpo. Ovviamente è più facile a dirsi che a farsi. Quindi cosa possiamo fare per ascoltare il nostro corpo e adottare una dieta sana?
Se ti capita di saltare i pasti senza nemmeno accorgertene o hai problemi di digestione, comincia a mangiare più lentamente. Se possibile, fai pasti regolari. Prova a concentrarti il più possibile su ogni boccone, senza distrarti e masticando a fondo. La digestione comincia dalla bocca e gli esperti raccomandano di ingerire il cibo dopo averlo masticato a lungo, tanto da farlo diventare pressoché liquido. In questo modo, lo stomaco farà meno fatica a completare la digestione.
Un altro metodo molto efficace per aumentare la consapevolezza del proprio corpo è includere nelle pratiche di meditazione degli esercizi di “body scan”, una vera e propria analisi delle strutture corporee. Puoi scegliere delle meditazioni guidate o semplicemente fare delle piccole pause per concentrare la tua attenzione su ogni singola parte del corpo, dalla testa alla punta dei piedi. Ripetendo questi esercizi sempre più spesso, ti sarà più facile notare le sensazioni che provi, anche in relazione alla quantità o al tipo di alimenti che consumi, e imparerai a capire se la tua voglia di cibo è effettivamente fame o semplicemente un’abitudine. Placando la voce della mente, la meditazione aiuta ad accrescere la sensibilità verso i segnali inviati dal corpo.
Mangiare in modo consapevole è un’altra pratica importante, che consiste nell’analizzare attentamente il cibo che ingeriamo, soffermandoci su ogni dettaglio. Un ottimo alimento per provare questa tecnica è l’uvetta. Innanzitutto, prendi un chicco fra le mani e inizia a osservarlo. Analizzane a fondo i dettagli: dalla consistenza, al colore, all’odore, tranne il gusto. Continua per almeno cinque minuti, poi assaggialo e soffermati sulla sensazione che trasmette in bocca e sul gusto, concentrandoti su ogni singolo istante. Puoi impiegare anche dieci-quindici minuti per mangiare un solo chicco d’uvetta. Se preferisci, scegli un altro frutto o opta per la frutta secca.
Anche se non soffri di disturbi alimentari o problemi di peso, puoi comunque consultare uno specialista per capire come entrare meglio in sintonia con il tuo corpo. Ciascuno di noi ha esigenze fisiche diverse. Ad esempio, potresti essere particolarmente sensibile a un determinato alimento. I test per le intolleranze alimentari sono piuttosto utili per chi avverte dei disturbi a fine pasto, ovviamente se eseguiti sotto la supervisione di un medico o di un nutrizionista. Alcune persone ritengono molto efficaci anche le diete basate sul gruppo sanguigno. Per approfondire l’argomento, consulta un esperto della pratica hindu nota come Ayurveda. Grazie a questi consigli riuscirai sicuramente a stabilire una connessione migliore con il tuo corpo.
Di solito pranziamo e ceniamo a orari prefissati per abitudine, ed effettivamente potremmo ritrovarci a mangiare anche se non abbiamo davvero fame. Le ragioni sono molteplici: forse abbiamo sete o siamo semplicemente annoiati. Inoltre, ciascuno di noi ha un ritmo circadiano unico, che influenza la sensazione di fame e di sazietà. Ecco perché è importante prestare attenzione ai “veri” segnali della fame che il nostro organismo ci invia: soltanto così è possibile stabilire se il desiderio di cibo è una sensazione fisica o emotiva.
Condividi con noi la tua esperienza e raccontaci quali pratiche ti hanno aiutato a mangiare in modo più consapevole e a trasformare questo approccio in una sana abitudine quotidiana.
Traduttrice: Sara Cavagna